Se a fine Settecento possedere dei libri era ancora quasi un lusso che in pochi potevano permettersi, nel secolo successivo i progressi della stampa riuscirono ad abbattere i costi, ma la diffusione restava ancora non accessibile a tutti. Le biblioteche aperte al pubblico soffrivano spesso di limitazioni nell’orario e non possedevano che cataloghi prevalentemente antichi, poco aperti al moderno.
Contemporaneamente, dopo le Guerre Napoleoniche, si assiste ad un notevole incremento di viaggiatori in Europa, che, grazie al nascente sviluppo industriale, vedeva ora partecipi anche molti personaggi della borghesia. In questo periodo la difficoltà per i viaggiatori e per i residenti stessi era la consultazione e l’accesso ai romanzi e alla stampa periodica nazionale. Questo portò vari imprenditori e privati alla costituzione di collezioni librarie destinate a un vasto pubblico, con possibilità, dietro pagamento di una piccola quota associativa, sia di prestito che di consultazione. Nacquero così i “gabinetti di lettura”, le “biblioteche circolanti”, così come le “biblioteche ambulanti”, e le “biblioteche di bordo” di cui si dotarono i transatlantici.
C’è un esempio tra tutti che ha attirato la mia attenzione: una circulating library inglese, nata all’interno della catena farmaceutica Boots the Chemist. Inevitabilmente ho pensato alla neonata Piccola Farmacia Letteraria che da qualche mese attira a Firenze lettori, lettrici e mass media per la sua originale idea di presentare i libri e la lettura come cura, dotando i singoli volumi di appositi bugiardini con prescrizioni e posologie.
The Boots Book-Lovers’ Library fu dunque una biblioteca circolante nata in Inghilterra alla fine dell’Ottocento, dall’idea e dall’impegno sociale di Florence, moglie di Jesse Boot, titolare della succitata catena farmaceutica inglese. L’intento di Florence era aumentare il livello di alfabetizzazione nella classe più povera e lavoratrice, consentendo il prestito di libri. Il suo progetto iniziò con l’installazione, nel 1898, di una piccola libreria all’interno del Nottingham Boots in Goose Gate. I libri inizialmente erano di seconda mano, ma ben presto il successo della sua idea portò alla stampa di edizioni caratterizzate dal marchio “Boots Book-Lovers’ Library”. Sulla costola un piccolo foro serviva per inserirvi la targhetta contenente l’abbonamento, che fungeva anche da segnalibro. Su libri dalle tematiche potenzialmente offensive o audaci venivano applicate etichette rosse e venivano tenuti sotto al bancone. Florence non intendeva però imporre ai suoi lettori né la qualità né la tipologia di lettura. Nacque così una vera e propria rete di biblioteche in Inghilterra che consentivano il prestito e la riconsegna anche in un’altra biblioteca della catena.
Negli anni ‘40 del Novecento si registrarono oltre un milione di abbonati e 38 milioni di libri vennero scambiati nel corso di un anno. Le biblioteche Boots, accoglienti e con bibliotecari esperti, divennero centrali nella vita della nazione britannica e contribuirono in maniera rilevante alla diffusione della lettura e della letteratura. Il loro ciclo vitale terminò con gli anni ‘60, con l’apparizione delle edizioni economiche Penguin e con il Public Libraries and Museum Act del 1964 con il quale si istituì l’obbligo, per le autorità locali, di realizzare biblioteche e musei pubblici per il libero accesso di ogni classe sociale.
Le immagini sono degli archivi Boots.